I problemi etici dell'eutanasia nell'Enciclica Evangelium Vitae
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Autori
Nel difficile ma necessario dialogo della Chiesa con la cultura predominante sul problema dell'eutanasia il primo compito è quello di chiarire il concetto. L'enciclica di Giovanni Paolo II presenta una definizione incentrata su un elemento che è essenziale per il giudizio etico: la volontà di chi agisce di procurare la morte di chi soffre, sia attraverso un'azione sia attraverso un'omissione. Un secondo problema importante è quello del giudizio etico sul suicidio, dal punto di vista oggettivo, come libero annientamento di se stesso. Sia dal punto di vista religioso che sulla base della comprensione razionale della persona come un bene per sè e per gli altri del quale non si è assolutamente padroni, si può capire che il decidere e tentare la propria morte è in sè un'azione irragionevole, e cioè immorale. Proprio per questo, l'eutanasia è anche irragionevole e immorale: non si deve collaborare a quella "sconfitta esistenziale" che è la decisione di farla finita con la propria vita. L'Autore riflette poi sul concetto di "dignità della vita" e di "morte degna", sottolineando che chi proclama il diritto alla morte degna di un malato terminale o cronico lo fa sulla base della comprensione implicita della dignità della vita di quella persona, anche se a parole dice che quella non è più una vita degna. Aiutare a morire degnamente la persona che soffre significa soprattutto aiutarla a morire in modo umano, vale a dire nella matura accettazione della propria condizione umana e nello sforzo di dare un senso alla propria sofferenza, mentre si tenta nei modi possibili e leciti di alleviarne la sofferenza, sia fisica che psicologica e spirituale. L'eliminazione della persona, con un'azione od una omissione, è indegna della persona che viene eliminata e di quella che realizza quella azione, anche se mossa da un senso di (malintesa) pietà.
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