L'utilizzo del placebo secondo l'ultima versione della Dichiarazione di Helsinki. Dibattito fra due posizioni etiche

Pubblicato: febbraio 28, 2015
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Nell'ottobre 2013, a Fortaleza (Brasile), durante la 64ª Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale (AMM) è stata approvata l'ultima versione della Dichiarazione di Helsinki (DoH), documento chiave nell'etica della sperimentazione sugli esseri umani, che nel 2014 ha festeggiato il suo 50° anniversario. Tra i punti di maggiore confronto spicca sicuramente quello relativo all'uso del placebo nella ricerca scientifica, soprattutto nei casi in cui sono già disponibili farmaci efficaci per le patologie oggetto di sperimentazione. La domanda di fondo riguarderebbe l'adeguatezza etica e le eventuali condizioni secondo cui si può offrire il placebo a dei pazienti che fanno parte del gruppo di controllo di un protocollo di ricerca su un nuovo farmaco, quando un trattamento efficace per quella malattia già esiste ed è utilizzato con un qualche beneficio. Nel nostro contributo viene offerto un attento esame delle due grandi correnti etico-scientifiche sull'argomento, anche alla luce dell'ultimo aggiornamento della DoH. La prima di quest'ultime, i cui principali autori sono F. G. Miller e H. Brody difende un uso esteso del placebo puntando sulla distinzione tra etica medica ed etica sperimentale. L'altra grande corrente, di cui sono rappresentanti di spicco B. Freedman, C. Weijer e S. Garattini, non vede una distinzione tra ricerca e medicina per l'obbligo del medico di offrire sempre i migliori standard di cura, e pertanto, limita l'utilizzo del placebo a pochi casi. Abbiamo quindi cercato di mostrare le seguenti tesi. 1. La problematicità della Dichiarazione, anche nel suo ultimo aggiornamento. Essa infatti da una parte promuove il principio di beneficenza, specificando che i pazienti coinvolti nella sperimentazione devono essere trattati allo stesso modo dei pazienti ordinari (art. 4), e dall'altra legittima i PCT nel caso di "convincenti e scientificamente solide ragioni metodologiche" (art. 33). 2. La scarsa considerazione rivolta alla DoH o una sua interpretazione in senso ampio e permissivo riguardo l'uso del placebo, da parte delle due agenzie del farmaco Food and Drug Administration (FDA) americana, e European Medicines Agency (EMA) europea. 3. La nostra preferenza per la posizione dell'uso limitato del placebo, sia per ragioni scientifiche sia perchè più consona alla tradizione etica dell'obbligo terapeutico alla cura, e del principio di non disponibilità della persona. 4. L'ineccepibilità dal punto di vista teorico della DoH nella parte in questione - indubbiamente più vicina alla posizione dell'uso limitato del placebo - che però nella pratica risulta in una facile vulnerabilità a spinte economiche ed etiche lontane dallo spirito di beneficenza, che per 50 anni l'ha caratterizzata e distinta.
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In October 2013, at Fortaleza (Brazil), during the 64th General Assembly of the World Medical Association (WMA), the latest version of the Helsinki Declaration (HD) was approved, a key document in the ethics of experimentation on human beings, which in 2014 celebrated its 50th anniversary. Among the major controversial points certainly stands that relating to the use of the placebo in scientific research, especially in cases where effective drugs are already available for the pathologies which are the object of experimentation. The fundamental question concerns the ethical adequacy of and circumstantial conditions according to which the placebo can be offered to patients who are part of the control group of a research trial on a new drug, when an effective treatment for that disease already exists and is utilized with some benefit. Our contribution offers a careful examination of the two great ethical- scientific approaches to the question, especially in the light of the last updating of the HD. The first great approach, whose main authors are F.G. Miller and H. Brody, defend an extensive use of the placebo focusing on the distinction between medical ethics and experimental ethics. The other great approach, prominent representatives of which are B. Freedman, C. Weijer and S. Garattini, does not see a distinction between research and medicine for the obligation of the physician to always offer the best standards of care, and therefore, limit the use of the placebo to a few cases. We have thus tried to show the following propositions. 1. The problematic nature of the Declaration, even in its latest update. In fact, on the one hand, it promotes the principle of beneficence, specifying that the patients involved in the trial should be treated the same way as ordinary patients (art. 4), and on the other hand it legitimates the PCT in the case of "convincing and scientifically sound methodological reasons" (Art. 33). 2. The scarce consideration given to the HD, or a wide and permissive interpretation regarding the use of the placebo, by the two pharmeceutical agencies the American Food and Drug Administration (FDA) and the European Medicines Agency (EMA). 3. Our preference for the position of the limited use of the placebo, both for scientific reasons and because it is more consonant with the ethical tradition of the therapeutic obligation to care, and of the principle of non-disposability of the person. 4. The unacceptability from the theoretical point of view of the HD in the part in question - undoubtedly closer to the position of the limited use of the placebo - which however, in practice results in a facile vulnerability to economic pressures and distances ethics from the spirit of beneficence, that for 50 years has characterized and distinguished it.

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Liborio, F., & Meana, P. R. (2015). L’utilizzo del placebo secondo l’ultima versione della Dichiarazione di Helsinki. Dibattito fra due posizioni etiche. Medicina E Morale, 64(1). https://doi.org/10.4081/mem.2015.33