Malattia, desiderio di morte e depressione: la necessità di valutazione clinica e di riflessione etica sul confine tra diritto di scelta e diritto alla cura

Pubblicato: dicembre 30, 2011
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Il lavoro prende lo spunto dalla riflessione sui commenti che nei media hanno accompagnato circa un anno fa il suicidio di un noto regista italiano, molto anziano, ricoverato in ospedale per una patologia neoplastica. Un comune atteggiamento, in questa sede giudicato conformista e superficiale, ha proposto una valutazione altamente positiva del gesto, presentato essenzialmente come un atto di coraggio conseguente ad una riflessione lucida e coerente della propria condizione esistenziale. Ma in realtà una considerazione molto semplice, quella dell'ipotesi che alla base della decisione del suicidio potesse esistere una reale e clinicamente significativa condizione depressiva, non è stata quasi affatto valutata nel suo potenziale peso. Emerge quindi la necessità di alcune brevi riflessioni sul rapporto tra malattia fisica e depressione, che tengano conto di quanto il vissuto generale della malattia, la sofferenza fisica, l'esperienza del dolore e dell'invalidità, la difficoltà o la perdita di prospettive future possano svolgere con elevata frequenza il ruolo di fattori in grado di innescare una "fisiologica depressione da malattia", peraltro ancora compatibile con una visione lucida del proprio stato e con una conservata capacità di valutazione e decisione. Ma gli stessi fattori, anche eventualmente in associazione con altri preesistenti o concomitanti, possono condurre allo sviluppo di reali e gravi episodi depressivi, anche clinicamente non distinguibili da quelli che caratterizzano la malattia depressiva ad origine primaria, cioè non conseguente a malattia somatica. Dalla "idea della morte", nel primo caso attesa ed anche vissuta in senso almeno in parte liberatorio, ma non desiderata e non ricercata, si passa al "desiderio di morte", potenziale grave sintomo depressivo, a sua volta connesso in modo diretto con il rischio di condotte suicidarie. Il limite tra le due condizioni è ovviamente incerto e sfumato, anche giustificato dal modo subdolo e graduale con cui si instaura la vera condizione depressiva, che rende spesso inatteso l'eventuale suicidio. Con la dovuta attenzione a non psichiatrizzare condotte o situazioni non necessariamente di per sè patologiche, la ripercussione etica e deontologica di questa dicotomia è diretta. Al diritto di scelta del malato somatico, di cui tenere conto ovviamente nei limiti del contesto etico generale e delle normative legali, deve essere anteposto il diritto alla cura di un soggetto malato, la cui sofferenza mentale limiti od escluda la stessa capacità di consapevole valutazione e decisione. Il riconoscimento della eventuale reale condizione depressiva ed il suo trattamento, inteso nel senso più esteso del termine, da quello farmacologico a quello di supporto psicologico o psicosociale, vengono a costituire delle necessità etiche la cui sottovalutazione comporta il rischio di fare perdere ad un soggetto già malato la possibilità di un aiuto decisivo nell'affrontare od anche superare momenti in cui alla sofferenza fisica ed esistenziale si sovrappongono condizioni di reale sofferenza mentale, tali da compromettere in grado anche estremo le capacità di scelta libera e consapevole, il cui recupero deve costituire un obiettivo primario di ogni intervento terapeutico.
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The work takes its cue from the reflection on the comments that have accompanied in the media about one year ago the suicide of a famous Italian director, a very old man, hospitalized for a malignant disease. A common attitude, here judged conformist and superficial, has proposed a highly positive evaluation of the gesture, presented essentially as an act of courage resulting in a lucid and coherent reflection on his own existential condition. But in reality a very simple view, the hypothesis that the basis of the decision of suicide could be a real and clinically significant depressive condition, has not been evaluated in all its potential weight. There is thus a need for some brief reflections on the relationship between physical illness and depression, which take account of how the general experience of the disease, the physical suffering, the experience of pain and disability, the difficulty or loss of future prospects may play the role of factors that with a high frequency can trigger in patients a "physiological depression disease", however, still compatible with a clear vision of their own condition and with a preserved capacity for evaluation and decision. But the same factors, also possibly in combination with other preexisting or concurrent, may lead to the development of real and severe depressive episodes, although not clinically distinguishable from those that characterize primary depressive illness, i.e. not resulting from physical disease. From the "idea of death" in the first case pending and also lived at least in part in liberating sense, but not desired and sought after, you go to the "death wish", potential serious symptom of depression, in turn, directly linked with the risk of suicidal behavior. The boundary between the two conditions is obviously uncertain and vague, even justified by the subtle and gradual way in which the true condition of depression establishes, making often unexpected the eventual suicide. With proper care not to judge as "psychiatric" conduct or situations not necessarily pathological in itself, the ethical as well as deontological impact of this dichotomy is directed. The somatic patient's right to choose, to be considered within the context of the general ethical and legal regulations, must be placed after the right to the care deserved by an ill person, whose mental suffering can limit or exclude the same capacity of conscious evaluation and decision. The recognition of any real-depressive condition and its treatment, in the broadest sense of the word, from the pharmacological therapy to the psychological and psychosocial support, constitute the ethical requirements which reduce the risk of making an already suffering person devoid of the possibility of a decisive help in dealing with or even go through moments in which the physical and existential suffering overlap conditions of real mental disease, such to potentially compromise the ability of free and informed choice, whose recovery must be the primary objective of any therapeutic intervention.

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Bersani, G. (2011). Malattia, desiderio di morte e depressione: la necessità di valutazione clinica e di riflessione etica sul confine tra diritto di scelta e diritto alla cura. Medicina E Morale, 60(6). https://doi.org/10.4081/mem.2011.151