Il pilastro fatiscente. Considerazioni etiche sulla medicina nell’era dell’IA
Abstract
Le promesse sull’introduzione dell’intelligenza artificiale in medicina, prospettando una pratica meno negligente e più efficace, sembrano lasciare poco spazio alla discussione filosofica. In realtà, tra aspettative, esperimenti in silico e prime implementazioni, i sistemi medici di IA hanno già iniziato a sollevare questioni di natura etico-antropologica. Al di là delle consuete preoccupazioni legate alla privacy e alla sicurezza dei sistemi, con la “medicina algoritmica” si profila lo stravolgimento dell’identità del medico e, in parallelo, la ridefinizione del rapporto medico-paziente. La crescente accuratezza dimostrata da diversi software clinici mette in discussione l’autorità epistemica del medico, con l’IA che risulta sempre più “fidata”. La relazione di cura, da diade, si trasforma in una triade, comportando una doppia traslazione di fiducia: sia il medico sia il paziente finiscono per dipendere dai risultati algoritmici. Riappare così il paternalismo, questa volta automatizzato, con il medico lasciato come terzo incomodo e relegato al ruolo di esecutore passivo dei verdetti computazionali. Se, come sostiene Karl Jaspers, la medicina poggia su due pilastri (quello tecno-scientifico e quello umanitario), l’introduzione clinica dell’IA non solo consolida il primo, delegato ai sistemi digitali, ma rischia anche di indebolire e spersonalizzare il secondo. Una valutazione critica del futuro della medicina è essenziale non solo per comprendere la direzione che questa pratica sta prendendo sotto l’influenza dell’industria digitale, ma anche per identificare i valori che devono essere rafforzati per evitare la perdita del significato umanitario inerente alle sue origini e al suo scopo.
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