Neonata con Sindrome di Ohtahara e assenza di trigger respiratorio: questioni etiche in Terapia Intensiva Neonatale
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Introduzione: La Sindrome di Ohtahara (SO) è un'encefalopatia epilettica rara resistente ai farmaci, caratterizzata da frequenti spasmi tonici o crisi focali motorie associati allo specifico quadro elettroencefalografico di burst suppression. Esordisce nei primi mesi di vita e rappresenta meno del 4% dei casi di epilessia infantile. La prognosi dipende dall'eziologia e generalmente è sfavorevole con decesso nella maggior parte dei casi durante la prima infanzia. La gestione delle gravi encefalopatie associate a SO è controversa, soprattutto riguardo le strategie per garantire il benessere dei piccoli pazienti e delle loro famiglie, richiedendo una continua modulazione degli interventi medici: dall'intensività degli interventi assistenziali in attesa della diagnosi, alle cure palliative laddove si giunge a una prognosi di inguaribilità, fino alla possibile desistenza da trattamenti intensivi/invasivi quando non più proporzionati al quadro clinico. Obiettivo: Attraverso il caso di M, neonata di 38 settimane, intubata e ventilata meccanicamente sin dalla nascita per assenza di attività respiratoria spontanea, per la quale a circa 4 mesi di vita si è giunti alla diagnosi clinica di SO, si intendono approfondire le questioni etiche connesse: a. alla proporzionalità e appropriatezza etico-clinica dei trattamenti in pazienti per i quali si giunga a una prognosi infausta quoad vitam; b. al processo decisionale da condividere con i genitori, che nel caso specifico non riuscivano ad accettare l'irreversibilità della malattia della figlia, nonostante il supporto psicologico offerto sin dall'inizio. Discussione: In una situazione di patologia probabilmente irreversibile, come nel caso di grave encefalopatia, con disfunzione cortico-sottocorticale e quadro elettro-clinico di SO, associata ad assenza di trigger respiratorio, in cui non emergono elementi in grado di modificare la prognosi quoad vitam, e della cui gravità i genitori possono far fatica ad elaborare la consapevolezza, diventa difficile individuare i limiti dei trattamenti, che potrebbero configurarsi come ostinazione irragionevole e penoso prolungamento del processo del morire. Nel caso di M, durante il suo ricovero nella Terapia Intensiva Neonatale (TIN) della Fondazione Policlinico "A. Gemelli" IRCCS di Roma, i neonatologi hanno costantemente coinvolto i neuropsichiatri infantili per ricercare una causa eziologica e opzioni terapeutiche percorribili, e hanno richiesto il supporto in più fasi delle consulenze di etica clinica per valutare in maniera interdisciplinare la proporzionalità e l'appropriatezza etico-clinica dei trattamenti in atto (in particolare del ventilatore meccanico) e da attuare. Conclusioni: I limiti dei trattamenti e più in generale gli interrogativi legati al fine vita sono questioni etiche sempre più frequenti, anche in TIN, e devono essere costantemente discussi, approfonditi e condivisi all'interno dell'èquipe medica e con i genitori, anche quando la comunicazione si presenta difficile. Nel caso di M, solo dopo diverse valutazioni interdisciplinari, si è giunti a una decisione condivisa anche con i genitori di continuare le cure palliative già in essere, di astenersi da interventi intensivi/invasivi in caso di eventi critici, e di favorire il benessere dell'intera famiglia, trasferendo M in un Hospice Pediatrico, dove la morte è avvenuta quando la piccola aveva 11 mesi.
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