La corporeità disponibile

Pubblicato: giugno 30, 1994
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In questo articolo, che sarà pubblicato in due parti su numeri diversi della rivista, viene proposta un'analisi del significato morale della ricerca biomedica, in vista di una caratterizzazione etica della situazione di chi partecipa come volontario alla sperirnentazione di farmaci, con particolare riferimento alla fase 1. A partire dalla considerazione della natura propria della ricerca biomedica, intesa come ricerca di un sapere orientato al miglioramento della capacità di curare i malati, il significato etico della partecipazione di pazienti o soggetti sani alla sperimentazione è descritto come "disponibilità" a contribuire agli sforzi fatti dal ricercatore biomedico per soccorrere chi soffre. A tale atteggiamento si contrappone quello di "disposizione" della corporeità da parte di chi (soggetto o ricercatore) la considera come puro oggetto su cui sperimentare o per mezzo della quale trarre vantaggio. L'analisi dei risultati di un breve sondaggio fra i ricercatori e volontari sani sulle motivazioni del loro agire fornisce alcuni dati sulla difficoltà a tradurre nel concreto i valori percepiti alla base della ricerca: la motivazione prevalente alla partecipazione ad esperimenti risulta essere l'incentivo economico, mentre vi è scarso interesse per la effettiva rilevanza delle formalità della ricerca. Ne risulta che la prassi della sperimentazione sembra inscriversi per lo più in un atteggiamento diffuso di "disposizione" della corporeità propria o altrui.

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Come citare

Mordacci, R. (1994). La corporeità disponibile. Medicina E Morale, 43(3), 491–509. https://doi.org/10.4081/mem.1994.1017